Matteo era mio figlio, anzi, è mio figlio. Lo è ancora
con la stessa intensità amorosa, amicale, della nostra passeggiata il 4 giugno
del 2001 in montagna. Mi precedeva nel sentiero con il sole che abbagliava, ero
in Paradiso. I suoi progetti, le sue idee, le sue sensibilità, la mia gioia
infinita era una finestra verso l’ infinitamente bello. Era un senso di
pienezza e di felicità all’ interno della nostra vita quotidiana.
Quindici giorni dopo, il
baratro, Matteo se n’è andato. E’ volato via. E’ stata una sua scelta.
Inevitabilmente la sua scelta ha sconvolto la vita delle persone che lo amavano
e che lo amano ancora. Accettare l’ evento è difficile, anzi impossibile,
tuttavia Matteo ha continuato ad esistere accanto a noi, a me, a Carla, mia
moglie e a Federica sua sorella a don Andrea, a tutti gli amici del Movimento
Shalom e più in generale a tutti coloro
con cui affrontiamo insieme questo ed altri percorsi.
Non c’è razionalità per il
dolore, il dolore non si razionalizza si può solo accettare come componente
inevitabile della vita. C’è sbandamento nel dolore.
Non ci sono parole per
descrivere il dolore che si prova, il
giorno dopo che ti è morto un figlio, nel dover sbrigare le cose burocratiche.
Non esisti, non ce la fai, ma quante cose devi fare per seppellirlo, per
dimostrare al mondo dei vivi che lui è morto.
Da quel momento è iniziato un
cammino dove la sensibilità di Matteo, il senso di pienezza dell’ amore vissuto
con lui e la presenza continua dirompente del dolore, si sono intrecciati e
hanno convissuto fino ad ora, e credo continueranno a mescolarsi per sempre.
Scoprire che la vita può essere riempita anche da un solo giorno d’amore, una
sola ora d’ amore, un solo minuto d’ amore, può dare forza per affrontare il
dolore. Un cammino fatto
insieme a un numero sempre crescente di uomini e donne di buona volontà e con
il contributo di tantissimi che hanno voluto aggiungere la loro solidarietà per
dare una mano alla realizzazione di un sogno diventato realtà.